Sulla rivista Krur, diretta da Julius Evola, nel dicembre 1929 apparve un enigmatico articolo dal titolo: La Grande Orma: la scena e le quinte. In esso erano narrate le vicende di un gruppo esoterico che, dall’inizio del Novecento, con le “armi“ della magia aveva tentato di influenzare i destini d’Italia: dall’esito della Grande Guerra al carattere romano assunto dal nascente fascismo.Lo scritto, esemplificativo delle attività dei circoli iniziatici italiani, suscitò negli studiosi molta curiosità e una profusione di scritti. Ma un punto è rimasto sinora insoluto: quale significato si celava dietro l’enigmatico pseudonimo di Ekatlos attribuitosi dall’autore?Molto si è discusso sul significato di questo nome, ricollegandolo, a volte con un inesistente corrispondente maschile di Hecate (la dea della magia), a volte con un epiteto dato ad Apollo, nella sua manifestazione distruttrice, Ekatabolos (letteralmente “colui che lungi saetta”); o, infine, ad un’interpretazione errata data ad una parola, Kalatorem, iscritta sul Lapis Niger1. Tutte queste congetture si sono rivelate inesatte.Un passo di Pausania (II secolo e. v.) sembra ora gettare una nuova luce sulla spinosa questione. Lo storico anatolico, nella sua Periegesi della Grecia, si soffermò, infatti, a descrivere la Stoà Poikile di Atene con le sue pitture narranti le gesta eroiche degli ateniesi. Di fronte al dipinto rievocante la famosa battaglia di Maratona contro i Persiani, egli menzionava un eroe armato di aratro, chiamato dagli Elleni Echetlos.Nel prosieguo dell’opera, descrivendo il demo di Maratona, Pausania tornò su questo eroe, fornendo maggiori ragguagli sulle sue gesta:
“Dicono anche che in quella battaglia si trovò presente un uomo rozzo d’aspetto e vestito da contadino, il quale, dopo aver ucciso molti barbari brandendo un aratro, finita la battaglia non fu più visto. E quando gli ateniesi chiesero all’oracolo chi egli fosse, il Dio non diede chiarimento sul suo conto, ma li invitò a onorare come eroe Echetleo (quello della stiva dell’aratro)”.(XXXII, 5 ).
Echetlos, nel mito ellenico, avrebbe svolto, dunque, una funzione soterica, arrestando l’avanzata del nemico e salvando la patria dall’invasione straniera. Un ruolo analogo, quindi, a quello che i Romani attribuivano ai Castores, allorquando, come narra lo storico Dionigi d’Alicarnasso nelle sue Antichità Romane (VI, 13), nella battaglia del Lago Regillo, i due Gemelli Divini combatterono a fianco delle legioni, contro i Latini e i loro alleati, determinandone la vittoria.Ma vi è un’ulteriore dato interessante riguardo la figura di Echetlos, ovvero la sua ricorrente apparizione, come tema iconografico, sulle urne cinerarie etrusche.Queste urne, provenienti in larga parte da Chiusi e Volterra, sono in numero considerevole, tanto da spingere alcuni studiosi a considerare quello dell’“eroe armato di aratro” uno dei motivi iconografici etruschi più ricorrenti.In sintesi, la scena si compone, al di là di numerose varianti, di un eroe seminudo in atto di colpire con il timone di un grosso aratro un nemico inginocchiato o steso a terra; alla scena assistono altri personaggi in armi, interpretabili ora come nemici, ora come compagni di Echetlos. In alcune urne appare, a volte, anche un’entità alata, Vanth, la quale poggia una mano sul guerriero soccombente ad indicarne, in questo modo, la morte ormai prossima.L’identificazione dell’“eroe armato di aratro” delle urne etrusche con l’Echetlos del mito greco la si deve allo storico dell’arte tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717–68). Dopo di lui, molti sono stati gli studiosi che hanno seguito un così autorevole parere. Ma già dall’Ottocento alcuni archeologi hanno messo in discussione tale opinione, ipotizzando, sulla base di minute ricerche, che su questo gruppo di urne fosse rappresentato un mito nazionale etrusco. In particolare, si sottolineava come in nessuna delle urne etrusche i nemici dell’eroe armato di aratro fossero caratterizzati dai costumi tipici dei persiani.A nostro avviso le due interpretazioni non si escludono a vicenda, in quanto è possibile che l’“eroe armato di aratro“ etrusco e l’Echetlos ellenico rappresentino differenti manifestazioni di un medesimo archetipo mitologico: un eroe primordiale, legato alle forze della terra, che interviene a difesa della patria contro l’invasore straniero. Ma torniamo all’articolo dal quale siamo partiti, chiedendoci se il misterioso scrittore conoscesse la raffigurazione etrusca.Un piccolo indizio ci permette di rispondere in maniera affermativa: una di queste urne con l’“eroe armato di aratro“ era, infatti, esposta nel museo Kircheriano di Roma, museo che l’esoterista, nell’ambito del suo articolo, dimostra di conoscere bene.Seguendo tale interpretazione, poi, risulterebbero maggiormente intelligibili alcuni tra i passi più controversi dello scritto di Ekatlos, in particolare il punto in cui viene narrato il ritrovamento di alcuni oggetti rituali romani e una benda contenente la prescrizione di un rito:
“Ed il rito fu celebrato – narra l’esoterista – per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria e vedemmo balenar nella sua luce figure vetuste ed auguste degli “eroi” della razza nostra romana“.
Ekatlos metteva, poi, in relazione il ridestarsi di tali forze occulte con gli avvenimenti occorsi all’Italia durante la Prima Guerra Mondiale:
“1917. Vicende varie. E poi il crollo. Caporetto. Un’alba. Sul cielo tersissimo di Roma, sopra il sacro colle Capitolino, la visione di un’Aquila; e poi, portati dal suo volo trionfale, due figure corruscanti di guerrieri: i Dioscuri. Un senso di grandezza, di resurrezione, di luce. In pieno sgomento per le luttuose notizie della grande guerra, questa apparizione ci parlò la parola attesa: un trionfale annuncio era già segnato negli italici fasti”.Il nome di Ekatlos non fu, dunque, scelto a caso ma doveva indicare, a chi era in grado di interpretarlo, che una forza arcaica, primordiale, era stata destata in quel tragico frangente a difesa del suolo patrio, fermando, ancora una volta, il barbaro invasore