Musme Pictriu ci spiega.
I frammenti bronzei furono rinvenuti nel 1992, ma resi pubblici soltanto nel 1999. Da allora tante ipotesi. Dentro la sua esclusiva vetrina del Maec, raffinato Museo di Cortona, il prezioso documento dal millimetrico spessore è di una fragilità quasi com movente.
Sono 7 frammenti bronzei invecchiati di patina nobile per oltre 2000 anni: 40 righe disposte su due facciate, incise con la tecnica a cera perduta, contenenti 206 parole, delle quali 34 vocaboli «appellativi» già conosciuti ed altrettanti nuovi, oltre a un alto numero di nomi propri.
Stiamo parlando della Tabula Cortonensis, terzo testo etrusco più lungo, dopo il Liber linteus della Mummia di Zagabria e la Tegola di Capua, che questo popolo ci ha lasciato in eredità.
La piccola Tabula fu scoperta nel 1992, da un carpentiere che aveva rinvenuto i 7 frammenti nei pressi di Camucia, ai piedi di Cortona. Il ritardo della consegna e le confuse indicazioni sul luogo di ritro vamento gettarono in seri guai lo scopritore (prima condannato, quindi assolto, infine privato della lauta ricompensa, un miliardo delle vecchie lire).
Ricomposta nel suo assetto con il tradizionale andamento della scrittura da destra a sinistra, la Tabula fu resa pubblica nel 1999, esattamente 10 anni fa, scatenando l’entusiasmo di linguisti ed etruscologi per quella che fu definita la scoperta etrusca del secolo.
Un entusiasmo durato qualche anno, cui seguì un silenzio «dogmatico», tanto comune ai reperti linguistici etruschi. Ma veramente la lingua etrusca rimane un mistero tale da imporre timori «accademici» reverenziali? Sembrerebbe di sì, visto l’impasse degli specialisti, che nel caso della Tabula concordano su tre punti: la valenza di documento giuridico, la datazione tra il III e il II secolo a. C.; la cornice generale del testo, con due famiglie del l’ager umbro-cortonese indaffarate a spartirsi beni terrieri.
Un conto è però discutere della Tabula, un altro è affrontarne scientificamente la traduzione letterale. A tal proposito è il glottologo sardo Musme Pictriu (allievo di Giacomo Devoto, autore di circa 40 libri, fra cui l’unico dizionario etrusco in circolazione, e da tempo impegnato in importanti scoperte ermeneutiche riguardanti la Tabula) ed essersi spinto più avanti di tutti nel corso di questi 10 anni.
«È bene sgombrare il campo da un equivoco durato mezzo secolo — afferma Pictriu — quello di credere che la lingua etrusca sia un mistero. Ancora non possiamo dire di tradurla alla perfezione, ma riusciamo a decifrare e a leggere l’etrusco, che presenta una ricca terminologia poi confluita nel latino. Rimango dell’idea che la Tabula non riferisca di un atto di compravendita basato sulla pratica romana dello iniure cessio — continua Pictriu — bensì che tratti piuttosto di un arbitrato circa un’eredità contestata, essendo incisa su una comune tavola bronzea, che vide protagoniste la famiglia dell’olivicoltore Petrone Scevas (petrus scevas eliunts), dall’altra i Cusoni (cusu thur), due rami imparentati in quanto discendenti dalla progenitrice Tullia Telutia ( tl telteisians )».
L’esatta redistribuzione dell’eredità sarebbe confermata dalla presenza dei numerali sar (dieci), sa («dal significato di sei o non di quattro», avverte Pictriu), e zal (due), tutti abbinati al termine monetario tenthur (talento): elementi che comproverebbero a loro volta le quantità territoriali oggetto dell’arbitrato. All’atto presenziarono 15 periti, oltre 20 testimoni («un numero che non deve sorprendere se guardiamo anche la Tavola di Esterzilli » garantisce Pictriu) e una figura imponente quale lo zilath mechl rasnal (il pretore della Federazione Etrusca).
L’accattivante versione proposta da Pictriu non può che rimanere indige ta agli etruscologi perché urta contro una precedente interpretazione «sociologica» del reperto, considerato una testimonianza delle «prudenti» oligarchie locali, preoccupate di trasferire beni e terreni ai ceti emergenti. Fenomeno, questo, che potrebbe aver caratterizzato il periodo ellenistico della Curtun etrusca. Resta il mistero, forse.
Ma anche la constatazione che, a 10 anni dalla pubblicazione della Tabula, nessun’altro studioso ha messo a setaccio i 206 vocaboli del documento. Ci piace quindi immaginare l’olivicoltore Petrone Sce vas che si vede riconoscere il vignale ( vinac ) e il filare alberato di accesso ( restmc , «che corrisponde al latino restis», spiega Pictriu orgoglioso del la nuova scoperta) valutati 10 talenti. Mentre la famiglia dei Cusoni riceve in eredità la terra situata nel «bacino» del Trasimeno ( spante tarsminass , in latino Tarsumennus ) del valore di 6 talenti, beneficiando di un conguaglio di 2 talenti in cibo e travi di legno ( zaginat priniserac ), in grado di riequilibrare alla perfezione il lascito.
Tutto sembra essersi concluso con un happy end. Eredi, periti, testimoni, notaio ( suthivena ) — dopo che l’atto fu ratificato («il vocabolo ratm significa proprio questo, perché si riscontra nel latino ratus , a, um», spiega ancora Pictriu riguardo all’altra sua «scoperta») — avranno festeggiato la fine della contesa con un sontuoso pranzo in stile etrusco.
E la Tabula avrà perso con gli anni il proprio valore di atto giuridico, finendo spezzata in otto parti (quello mancante conteneva solo antroponimi), e dimenticata nella pianura della Valdichiana. Un po’ come accade alla lingua etrusca, sostiene Musme Pictriu, che a 88 anni ha da poco pubblicato l’ennesimo lavoro: il Dizionario Comparativo Latino-Etrusco (Edes, 228 pagg. € 25,00), composto da circa 2300 voci. «Adesso toccherà alle nuove generazioni approfondire il campo — conclude — e c’è ancora tanto da scoprire grazie al metodo comparativo con il latino, che valuto vincente. E per favore, togliamo all’etrusco, una volta per tutte, l’etichetta di lingua misteriosa