sabato 14 novembre 2009

impressione di Ezze




La verità di un campo - mi spiega Ezze Punei -
è una cosa per il pittore impressionista che vuole dipingerlo;
un'altra per un agricoltore che intende piantarvi qualcosa e farla crescere

scrittura creativa



Come si trasforma un’idea in una storia? Come si fa a renderla verosimile? In che modo un autore disegna le sue trame? Come si compongono tra loro la trama principale e le trame secondarie? A queste e altre domande, essenziali per chi vuole scrivere racconti o romanzi, risponde lo scrittore Javier Argüello, attraverso una rilettura del lavoro del grande docente di sceneggiatura Robert McKee. Argüello parte dall’analisi del modo in cui ha scritto uno dei suoi Racconti impossibili e prende a modello la sceneggiatura del film Match Point di Woody Allen.

assaggio....

Chi racconta la storia?Quando ho cominciato a scrivere il racconto Vanno (che si trova nella raccolta Sette racconti impossibili), la prima idea era semplicemente il racconto interiore di una persona che prima inizia a sentire delle voci e poi un giorno decide di seguirle. Il finale non mi era chiarissimo, però sapevo che il protagonista avrebbe dovuto seguire queste voci.chi farlo raccontare.Una possibilità era quella di raccontarlo in prima persona con la voce interiore narrante del protagonista, però mi sembrava un po’ strano come inizio. Un’altra possibilità era che lo raccontasse una terza persona, ma mi sembrava che in questo modo risultasse un po’ troppo lontano. Così mi è venuto in mente che qualcuno lo raccontasse a qualcun altro e che così fosse raccontato in prima persona.

Mi sono chiesto come qualcuno potesse raccontare questo a un’altra persona e ho pensato che potesse farlo attraverso un apparecchio acustico e attraverso una presa della corrente elettrica. Improvvisamente, però, mi sono reso conto che la storia di un personaggio che parlava da dentro una presa elettrica non era molto vicina a me e che probabilmente non era molto vicina a nessuno. Potevo invece identificarmi con un personaggio che ha perso la batteria dell’apparecchio acustico e che, mentre la sta cercando, inizia a sentire una voce proveniente dalla presa della corrente elettrica: quello mi è sembrato il punto di vista dal quale raccontarlo.

Questo punto di vista mi è sembrato talmente più interessante dell’altro che ho dovuto costruire un contesto intorno al personaggio che cercava la batteria smarrita dell’apparecchio acustico. Così ho fatto un ulteriore passo indietro e mi sono domandato a chi lui stesse raccontando la storia che la voce nella presa della corrente gli aveva raccontato. Per dare maggiore verosimiglianza, ho pensato a una notte in cui si stessero raccontando storie strane. Appena finita la precedente, tocca a lui raccontarne una:“Questa storia me l’ha raccontata una presa elettrica, dissi, e potei leggere un improvviso interesse sul volto dei presenti. Me l’ha raccontata una presa, in una sera di agosto in cui mi trovavo a quattro zampe sul tappeto alla ricerca della batteria del mio apparecchio acustico.”

(da Vanno, in Sette racconti impossibili, Nottetempo, Roma 2007, p. 29

Per rendere questa situazione ancora più credibile, ho aggiunto l’idea di un dubbio iniziale di lui, che non sa se raccontare questa storia dell’apparecchio acustico e della presa elettrica, oppure un’altra storia.
In questo modo mi sembrava più facile che il lettore potesse entrare in due passi dal mondo in cui realmente viviamo fino a quello di coloro che abitano dentro le prese elettriche. Lui dice qualcosa del tipo: «È una notte in cui stiamo raccontando delle storie strane, e io vi racconterò una storia che mi ha raccontato una presa elettrica». Nei suoi ascoltatori questo suscita un certo interesse, e l’idea era quella che anche nei lettori producesse la stessa reazione ponendoli nello stesso punto di vista di quelli che stanno ascoltando la storia.

Javier Argüello

Nato nel 1972 a Santiago del Cile, è cresciuto tra Cile e Argentina; attualmente vive a Barcellona dove insegna Scrittura Creativa presso la Escuela de Escritura del Ateneu Barcelonès. La sua notorietà internazionale è nata dopo la pubblicazione della raccolta di racconti Siete cuentos imposibles, Lumen, 2002 (traduzione italiana: Sette racconti impossibili, edizioni Nottetempo 2007, traduzione di Francesca Lazzarato) e del romanzo El mar de todos los muertos, Lumen, 2008.

serenedipty


Oh,facoltà miracolosa
e meravigliosa attività :
prendo acqua dal nostro  fiume !
 mangio carote del vostro campo!

pagana ninfa Porrina da Cascia


Il vaticinio della ninfa Porrina sulla venuta di Rita da Cascia.
Una profezia sulla cui autenticità si possono nutrire molti dubbi, ma che dimostra comunque la suggestione esercitata dalle sibille pagane sull’immaginario cattolico, è quella che una gentile tradizione umbra indica come precognizione pagana della nascita di Rita da Cascia, mistica e taumaturga tra le più venerate della cristianità. E la profezia
della sibilla Porrina, vissuta in un mitologico passato nella valle di Roccaporena, dove nacque sul finire del secolo XIV Rita Lotti, desti­nata a divenire la “santa degli impossibili” per gli straordinari mira­coli che le vengono ancora oggi attribuiti, soprattutto in fatto di gua­rigioni.
Aleggia tuttora sulla valle in cui nacque santa Rita una sorta di inde­finibile incantesimo, che una toponomastica inquietante rende ancora più misterioso. Vi si accede da due gole dette Passo Inferno e Passo Male. Sovrasta il minuscolo abitato di Roccaporena, in corrisponden­za di quello ch’era l’orto miracoloso di Rita, dove fiorirono fichi e rose in pieno inverno, una maestosa caverna detta Grotta Nera, nella quale i devoti oggi vanno a chiedere grazie. La fronteggia sul versan­te contiguo la Grotta d’Oro, che si diceva fosse stata dimora della ninfa Porrina, una indovina esule in Umbria dall’Arcadia, donde era fuggita con la sorella Carmenta, anche lei dotata di poteri mantici, e con il figlio di quest’ultima Evandro, sovrano scacciato dal suo regno di lirici pastori.
Entrambe si erano cercate in Italia un sito adeguato al mistero che l’esercizio dell’arte profetica richiedeva: Carmenta si era insediata con il figlio sul monte Palatino, l’altra nella valle in cui sarebbe venuta al mondo qualche millennio dopo santa Rita.
A Porrina la voce popolare attribuiva una profezia, di cui però venne trascritto il testo soltanto negli anni Trenta di questo nostro secolo dallo storico casciano Adolfo Morini, che asserì di averlo letto su di un manoscritto in possesso di un vecchio contadino, il quale però non volle affidarglielo, consentendogli semplicemente di ricopiarlo a mano.
«Questa è la terra sacra indicatami dal mio dio», diceva la sibilla, e ne anticipava i futuri splendori «fino alle più lontane generazioni». Veniva poi la profezia vera e propria: «Correranno venti centinaia di anni dopo di me, e da queste balze rocciose luminerà una luce divina, ignota al mondo, cui curveranno il capo financo le fiere del bosco: e sarà la seconda. Appresso altre cinque, da queste pareti granitiche verrà alla luce una pietra preziosa, la margarita, che brillerà dopo altre cinque ancora. E sarà la più grande, e supererà le terre e i mari, perocché l’umiltà vincerà la vanità. Qui ancora accorreranno le genti tratte da ogni luogo a osannare il Dio eterno, e questa angusta e mise­ra valle avrà nome eterno nel mondo».
Il senso del messaggio parrebbe corrispondere all’intenzione di sta­bilire una continuità tra il retaggio sacromagico del primordiale paga­nesimo italico, agli albori mitici della civiltà romana, e la nuova grande tradizione cristiana, nella quale Rita è coinvolta insieme ad altre «luci divine». Di tali presenze luminose l’Umbria è prodiga, ma tra tutte la margarita è la più splendente, dice la sibilla, ed è destinata a varcare con la sua fama mari e monti, richiamando pellegrini da ogni angolo di mondo.
Non si può essere certi dell’autenticità del manoscritto cui fa riferi­mento il Morini, ma è significativo che ne valuti la data intorno alla prima metà del Seicento (agli anni, cioè, del processo di beatificazio­ne, che rappresentò di fatto il riconoscimento del culto ritiano, già popolare) per la qualità della carta, il carattere grafico e lo stile «ampolloso, eccessivamente prolisso
La mancanza del documento, andato smarrito dopo la morte del contadino, sempre che sia esistito, autorizza il sospetto che la “sco­perta” potesse rientrare nella politica culturale del regime fascista, tendente a imporre ascendenze latine alle grandi tradizioni popolari. Ricercando anche parentele o filiazioni dirette, laddove possibile, tra i grandi santi cattolici e le deità romane
Scrisse d’altronde il Morini che il vecchio contadino aveva trovato il testo della profezia tra le carte ingiallite di un gentiluomo morto cin­quant’anni prima. Il che sa di romanzo popolare, ingenuamente inter­pretato da perfetti archetipi — come il villano e il signore — di quell’Italia rurale e aristocratica che la retorica dell’epoca prediligeva. Giustificano ulteriormente ogni dubbio l’anno della pubblicazione (1933) e il carattere della rivista «Latina Gens», cui venne affidato lo scoop. Ma questo non toglie nulla all’effettivo spessore di quella devozione popolare che il vaticinio, tanto più se falso, esprimeva. Semmai dimostra il protrarsi in età moderna di quello che nell’anti­chità è stato un atteggiamento ricorrente del potere politico nei con­fronti dell’arte divinatoria: strumentalizzarne i responsi, o inventarli del tutto, a supporto dei propri disegni.





tela vuota


Il bianco (del foglio-mondo)
 significa nessun colore,
 nessun disturbo,
e così allude efficacemente
alla nullità del luogo di raffigurazione.
Il foglio bianco
è la trapassabilità pura,
la pura assenza
e la pura potenzialità.

papa Meilland

Papa Meilland ® Var. Meicesar
Colore Rosso scuro vellutato
Profumo Molto
Altezza 80-90 cm


Diametro Fiore 13 cm
Numero Petali 35-45
Portamento Grandi fiori

aspettative





Vorrei  veder accadere cose nella mia vita.
- si lamenta Hubne Luserna .
So che niente è  come sembra,
 ma non riesco a trovarne una prova.




pescecane cavaliere



Vi narrerò l'istoria commovente
del pescecane ch'era un cavaliere,
pur mangiandosi un uomo come niente
a pranzo, a cena, oppure a colazion.


Borghesi o militari, belli o brutti,
preti oppur laici, nobili o plebei,
gente per bene, oppure farabutti,
in un boccone li mandava giù.

 


Ma incontrando una donna od un bambino
era tutto riguardi e cortesie,
e sorridendo, con un bell'inchino,
per i fatti lor li lasciava andar.


Caduta un giorno in mare, una signora
si dibatteva disperatamente;
già si vedeva all'ultim'ora...
ma capitò lo squalo cavalier,


E disse: - Non temete, o bella dama, -
offrendole il suo braccio, ossia la pinna:
solo di carne maschia sento brama,

ma le donne e i fanciulli lascio andar.

Io non sono uno squalo mascalzone,
e conosco e rispetto il galateo,
e so come si trattan le persone
a seconda del sesso e dell'età.

 


Ammirati da tanta cortesia
tutti a bordo batterono le mani;
e il capitano, prima d'andar via,
ordinava una salva coi cannon.

 


E, messo intanto un picciol schifo in mare,
con quattro marinari e col nostromo
vi scendeva egli stesso a ripescare
la bella dama su dall'ocean.


Ma proprio in quel momento il pesce immane
si ricordò chi era, e con la coda
rovesciato lo schifo,(senza pane
e crudi) tutti i maschi trangugiò.

Ed è questa l'istoria commovente
del pescecane che era un cavaliere
ma si mangiava un uomo come niente
a pranzo, a cena, oppure a colazion.

Uste Pichiunti





tu sei il problema
 - osserva Uste Pichiunti -
mai la soluzione