domenica 11 aprile 2010

Zilunte parla



ARUSPICE mi chiamano e sono colui che decifra.Cammino oltre del bene e del male.Sono per me strade le vene e il sangue è la lingua,la materia sintassi che pulsa e i nervi predicati oscuri che illuminanola notte.Qui io sono cresciuto, tra le zolle del confine,i miei giorni sono il solco dell’aratro e le mie mani un vomere che scortica le sillabe.Qui,dunque, ho piantato le mie radici, qui vivo.E’ un terreno il cielo che indago su cui la mia mente alligna in forme di fiori stellati che sono la bocca attraverso cui parla e ammonisce dentro la notte di fuori.Padroni di buoi portano al macello spinti avanti su campi bianchi, uomini che un bianco aratro trassero e neri semi seminarono: ecco le piante divelte.Le viscere sono parole, mutevoli calligrafie gli uccelli, le folgori vertigini di rampicanti.E’dalla notte che a fiotti prorompe il giorno.Mi chiamarono per affondare la mano perché dicessi,ad allargare il palmo perché toccassi il mormorio melmoso delle parole che nelle profondità si nascondono.Ecco lo squarcio, dunque,ecco lo straripamento del buio.Si dia inizio alla decifrazione, allora, si proceda.Si scenda nella notte della sintassi, dove i globuli sono sillabe e verbo il fluire del sangue: siano il corpo un’entrata e le viscere i gradini.