sabato 6 febbraio 2010

rimugina Amunde-


Semplicità significa sottrarre l’ovvio
e aggiungere il significativo.
Sarà davvero così ? - rimugina Amunde-

oltre mare


Vel  fissava il punto in cui doveva trovarsi Thane , laggiù, oltre l’orizzonte. Nel mezzo del mare di fronte a Bubbluns era difficile avere riferimenti precisi, senza strumenti, ma le sue facoltà mentali gli rimandavano eco di urla, lamenti, agitazione, tutte concentrate in quel punto. Cercava di non pensare emozionalmente, di elaborare solo i dati, per non impazzire. Aveva perso il contatto con Thane  da un paio d’ore ormai, e disperava la sua amica fosse ancora viva. Non sapeva cosa fare, se dirigere la barca verso la costa, cercare di contattare Hintial , attendere lì, sperando succedesse qualcosa. La domanda muta che ogni tanto affiorava sulle sue labbra, veniva ricacciata a forza nei meandri del cervello.

- La stai cercando con questa... - una voce, dietro di lui. Vel  si voltò, fissando la figura alta ed elegante, oltre il bordo della barca, che rimaneva in piedi sul mare , quasi sospesa sopra la superficie dell’acqua. L’uomo, di un’età imprecisata, ma non più giovanissimo, si batteva l’indice contro la tempia - Dovresti cercarla con questo - concluse, poggiando la mano sul cuore.

Vel  non chiese nulla. Da quando conosceva l’Ondina si era abituato a strani eventi, e ancor più strane apparizioni. Sentiva solo che di quell’uomo poteva fidarsi.

La figura alta e potente si avvicinò, camminando sull’acqua, poi si sollevò lentamente, e con una leggerezza innaturale, si posò sul ponte della barca, di fronte a lui. Gli poggiò la mano sul petto e disse:

- Lei è viva, e ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Chiamala. Svegliala.

- Si, ma... poi? Cosa posso fare poi? Lei è laggiù, tremila metri sotto il mare . Io...

- A questo - lo interruppe l’uomo - ci ha già pensato Qualcun altro. Chiamala, Vel , svegliala. Al resto provvederanno i rinforzi, che stanno già arrivando.

Vel sollevò la testa, guardando a est un punto del cielo, dove le nuvole iniziavano a diradarsi, e la luce del sole filtrava, rifratta in mille raggi brillanti, e sorrise.

Castro,Cartagine Etrusca Statonia


A circa metà strada tra Pitigliano (GR) e Farnese (VT), sull’omonima provinciale, c’è il bivio per Manciano (sulla destra se si proviene da Pitigliano, sulla sinistra se invece proveniamo da Farnese). Dopo poche centinaia di metri giriamo a sinistra per una strada poderale seguendo le indicazioni del Santuario del SS Crocifisso. Arriviamo nel parcheggio del luogo sacro e ci accorgiamo già da lì che ci stiamo trovando in un posto dove la vita è scorsa ininterrotta per migliaia di anni.

Ci accoglie, proprio davanti al santuario, l’etrusca “Ara del Tufo”, un sepolcro del VI secolo a.C. con tre camere funerarie avente le caratteristiche di un altare, ornato da cornici di nenfro e di tufo che terminano agli angoli con protomi di leone e di ariete che per imponenza non doveva essere da meno della più famosa Tomba Ildebranda di Sovana. Proseguendo per una stradina scavata nel tufo raggiungiamo la vicina necropoli dove, tra varie tombe anonime spicca la Tomba della Biga, in cui un potente personaggio del luogo, era stato deposto insieme al suo carro da guerra in quercia con le sponde in bronzo finemente decorate con figure di giovinetti nudi e ai suoi due cavalli (attualmente la biga si trova al Palazzo Albornoz di Viterbo). L’ipogeo, dotato di dromos, ha una lunghezza frontale di circa sette metri e consta di tre porte, una delle quali è finta ed ha solo la funzione di mantenere la simmetria. Tornando verso il santuario ci si addentra in un sentiero ben delimitato percorrendo il quale ci si va a trovare nel luogo, dove fino al 20 settembre 1649, si trovava la capitale del ducato farnesiano: Castro.
 Fa impressione pensare che lì esisteva sino a quella data una cittadina rinascimentale (seppur impiantata su un sito che fu villanoviano, poi etrusco e poi ancora romano) completamente rasa al suolo dalla cattiveria degli uomini. Fu Papa Innocenzo X a ordinarne la cancellazione dalla faccia della terra a seguito dell’odio mortale che legava il papato con la casa Farnese. Vedendo le poche rovine che emergono dal bosco sembra in realtà di essere in una città di qualche millennio fa, etrusca o romana, i cui sassi emergono oltre il lavorio incessante del tempo, delle intemperie e della natura. In realtà laggiù, l’opera più grossa di distruzione la fece l’uomo. Oltre ai sassi, ai pozzi, alle cantine, ai resti di quello che doveva essere un Duomo monumentale, la Piazza Maggiore lastricata a lisca di pesce, a ciò che rimane degli affreschi della Chiesa di Santa Maria, dei quattro sassi del Palazzo Ducale, dei torrioni distrutti, del Palazzo dell’Hostaria su disegno del Sangallo, della zecca, purtroppo possiamo avere la dimensione della catastrofica faida anche da qualche resto umano che appare alla vista dopo recenti scavi. Le truppe papaline impiegarono sino al 3 dicembre 1649 per compiere lo scempio. Il motivo di tutto? Cerca di spiegarcelo Alfio Cavoli nel suo libricino “Castro la Cartagine della Maremma”, Cartagine perché Papa Innocenzo X decise per lei lo stesso destino che nel 146 a.C subì la città fenicia ad opera di Publio Cornelio Scipione.
Un omicidio alla base di tutto o forse anche molto di più: le numerose croci templari che risaltano ancora incuranti del tempo e della distruzione, sugli affreschi di quella che fu la Chiesa più antica di Castro, quella di Santa Maria, forse nascondono la volontà di distruggere un caposaldo di coloro che da servitori del papato, ad un certo punto della storia, furono bollati da eretici e perseguitati dall’inquisizione.
Suggestiva anche l’ipotesi che sotto le rovine di Castro, dorma l’etrusca Statonia...

canto dissolvente

guarda leggi accogli ascolta
tutte le parole di carta
quella paura dissolta

Hirumne Perthuna


Che confusione tra la memoria e il sogno
- mi lamento con Hirumne Perthune -
E'  l'avaria di una frase
nascosta nel bisogno di non sapere
- mi risponde L'etrusco .