Nell’età AUGUSTEA, Tito Livio (IX,36-39), il grande storico romano, riferendo gli allenamenti del 310 a.C. così la descrive:”Era in quel tempo la selva Cimino più impraticabile e spaventosa (invia atque orrenda) di quanto non lo siano oggi le foreste della Germania e nessuno fino allora vi era penetrato, neppure i mercanti, né ardiva qualcuno entrarvi”
Da quando,
“…sopra le congiunte ville
cal superato Cimino a gran passi
calò gradivo poi, piantando i segni
fieri di roma…”
(G.Carducci:Alle fonti del Clintumno)
la selva, costituita da castagni, querce, e più in alto da faggi, è andata progressivamente riducendosi sino ad essere limitata, attualmente, alle alture ed ai colli più prossimi al Cimino. La sua distruzione è antica; basti dire che molte navi della flotta romana della prima uerra punica vennero costruite con il legno dei boschi cimini.
La selva cimino conserva anche sparse tracce della presenza dell’uomo preistorico (armi litiche al Museo Pigorini in Roma) e specialmente dell’uomo appenninico (Età del Bronzo) che quassù portava le sue mandrie secondo l’andamento stagionale.
Questa, che poteva essere fino a qualche anno fa un’ipotesi, è stata confermata dal ritrovamento e dallo studio proprio sulla vetta del vulcanico Monte Cimino (altezza 1053 m) di un insediamento – un castelliere – dell’età del bronzo con tutto un recinto artificiale – per altro già segnalato nel 1894 – formato da pietre vulcaniche con un terrapieno di piccole scaglie e detriti. Inoltre le ricerche e gli studi compiuti in questi ultimi decenni – in particolare dopo la scoperta del santuario delle acque in località Arcella nel comune di Canapina e la dedica alla dea Salute e alla Bona Dea – stanno delineando una diversa visione e concezione del massiccio cimino e dell’immediato perimetro submontano.
“…il grande comprensorio montano del Cimino, ammantato nell’antichità dalla celeberrima silva di liviana memoria, dagli alberi secolarie dal sottobosco impenetrabile, comincia ad apparirci sotto una luce nuova.
Quella che ricompare è un’immensa area sacra, una res divini iuris, un territorio appartenente a nessuno dei centri circumvicini raramente impiantati al di sopra della quota-tabù dei 300 m.circa s.l.m. donde pare che iniziasse l’area degli antichi religiosa loca…” (Livio Gasperini)
E ancora: “…il Mons Ciminius con le sue foreste e le sue sorgenti appare come un luogo consacrato a varie divinità protettrici dei boschi e delle acque” (M.A. De Lucia Brolli)
È in questa ottica unificante che meglio si possono comprendere i resti antichi quali l’accennato tempio a Giove Cimino, il santuario della Bona Dea all’Arcella, il culto dei Lari Semitales, i resti della Selva di Malano, e non ultima la localià di S.Maria in Luco nel territorio di Soriano che nel nome tradisce il culto ad una divinità pagana femminile continuato nella sfera del sacro cristiano.
Un’ultima notizia;in alto laddove termina l’attuale strada che adduce alla Faggeta, poco distante dalla vetta del Cimino, vi è una rarità naturale: il sasso menicante o detto naticarello. Si tratta di un enorme macigno dalla forma pressoché ovoidale di peperino del peso stimato di 250 tonnellate che poggia la sua limitata base su una piattaforma rocciosa sì che facendo leva con un modesto palo oscilla vistosamente. Esso era già conosciuto fin dall’antichità; Plinio il Vecchio lo definisce naturae miraculum, Gallo terrestre navigium, e Marrone totius mundi portentum.