mercoledì 3 marzo 2010

Lingua di Porsenna



Thesaurus Linguae Etruscae curato da Enrico Benelli, Maristella Pandolfini Angeletti e Valentina Belfiore (Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2009, pagine xxxiv+586, euro 245)

La morte di una lingua è un fenomeno che può essere osservato anche nel presente in vari contesti e aree geo-culturali e questo costituisce un evento drammatico, un sostanziale impoverimento del genere umano nella sua articolata e straordinaria diversità. Al pari dell'estinzione di una specie, la fine di una lingua lascia un vuoto non reintegrabile in quella sorta di biodiversità rappresentata dalle culture.
Con una lingua non finisce solo un codice per comunicare, ma anche e soprattutto una visione del mondo. Nozioni empiriche, concetti, miti, racconti e poesie, dimensioni dello spirito, saperi e memorie implodono con essa. Nel caso di una cultura complessa, storica, a farne irreversibilmente le spese sono la letteratura, la scienza, la storiografia e tutto il patrimonio che gli uomini hanno voluto affidare alla potenza della parola e, da un certo punto in poi, alla parola scritta.
Questo fenomeno ha coinvolto, circa ventuno secoli fa, anche una delle civiltà più evolute dell'Italia antica e dell'intero bacino del Mediterraneo, quella degli etruschi.
Questo popolo, in realtà, non si estinse né fu oggetto di un genocidio. Esso semplicemente si trasformò con un processo storico di integrazione politica ed economica nello stato romano, al quale la cooptazione dei ceti magnatizi etruschi fornirà un nucleo sostanziale della propria classe dirigente.
A partire dagli anni 90-88 antecedenti all'era cristiana, con la guerra sociale e la conseguente concessione della cittadinanza romana agli italici, l'etrusco scomparirà progressivamente anche dall'uso nella sfera privata. A eccezione di qualche erudito, come l'imperatore Claudio, e di qualche raro superstite, l'etrusco scomparirà come lingua parlata nei primi secoli della nostra era. Aulo Gellio (Noctes Atticae XI, 7, 4), verso la fine del ii secolo ricorda un interlocutore dal linguaggio difficilmente comprensibile, a suo dire etrusco o gallico.
Il naufragio della lingua ha sicuramente contribuito nei secoli a creare il mito degli etruschi, unitamente a quel "mistero" legato a un idioma che sembra sfuggire alla classificazione in un gruppo linguistico definito.
Nonostante questo, l'etrusco costituisce una delle lingue più conosciute dell'Italia antica, eccettuato il latino. Sarà forse anche per questo che un evento scientifico e culturale come la pubblicazione del Thesaurus Linguae Etruscae, solennemente presentato all'Accademia dei Lincei, appare destinato a uscire dagli interessi ristretti dei cultori della materia per trovare una sua più ampia risonanza nel grande pubblico.
L'opera costituisce uno strumento essenziale per lo studio dell'antico idioma.
Il volume raccoglie infatti tutto il patrimonio linguistico etrusco censito sino al 2006 e costituisce l'aggiornamento, con tutte le novità delle recenti scoperte e acquisizioni, della prima edizione pubblicata a partire dal 1978 a cura di Massimo Pallottino, che così introduceva: "Allo studio dell'etrusco è mancato finora quello strumento basilare di ogni esplorazione ed operazione linguistica che è il vocabolario".

Fino ad allora era praticamente impossibile per un singolo studioso conoscere l'intero patrimonio linguistico etrusco. Le iscrizioni, che cominciarono a essere pubblicate sistematicamente a partire dagli ultimi decenni del xix secolo, risultavano comunque sparse in sedi diverse "repertori, monografie, articoli" e talvolta con proposte di lettura tutt'altro che univoche.
Questa ultima edizione del Thesaurus Linguae Etruscae compare nell'ambito di una collana curata dall'Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che oggi incorpora l'ex Istituto per l'Archeologia Etrusco-Italica che promosse la prima edizione. Si tratta dell'inventario di tutte le "voci" individuabili nei testi etruschi, la relativa documentazione e la citazione dei passi in cui esse occorrono. Sono inoltre inseriti tutti i lemmi etruschi riportati da fonti greche e latine, quasi il relitto di un dizionario. Una curiosità, per i non addetti, è rappresentata dalla sezione con l'ordinamento inverso dei lemmi, ovvero delle parole ordinate alfabeticamente secondo la parte finale: uno strumento utile per integrare un'iscrizione incompleta.
Un lavoro meritorio quanto complesso è stato costituito dalla verifica sistematica dei testi raccolti, di cui sono stati emendati gli errori di lettura.
La conoscenza dell'etrusco si basa oggi su oltre 11.000 testi. Nella maggior parte dei casi si tratta di testi brevi e ripetitivi, come epigrafi funerarie, dediche, iscrizioni di possesso. Troppo poco per comprendere pienamente e tradurre alla lettera i testi più lunghi e complessi. Sono comunque note le funzioni morfologiche e sintattiche, per cui nell'approccio col testo è possibile distinguere i vari elementi del discorso: il genere e il numero, un verbo da un sostantivo, nomi propri, numerali, toponimi; inoltre è dato comprendere le regole della flessione di nomi e appellativi, identificare le forme verbali, definire la sfera semantica dei termini di più incerta traduzione, adottando i vari metodi approntati dall'indagine linguistica.
I testi più lunghi si limitano a pochi casi. Sulle fasce della mummia di Zagabria (III-I secolo prima dell'era cristiana), ricavate da un libro sacro su lino (liber linteus), è redatto un calendario religioso di circa 1130 parole superstiti destinato a una comunità etrusca che viveva in Egitto. La tegola di Capua (prima metà del v secolo prima dell'era cristiana) costituisce analogamente un calendario religioso festivo di circa 300 parole. La Tabula Cortonensis (III-II secolo prima dell'era cristiana) rappresenta un documento giuridico o un contratto, similmente al coevo cippo di Perugia che stabilisce limiti di proprietà tra due famiglie. Le lamine auree di Pyrgi (inizi del V secolo prima dell'era cristiana) provengono da un santuario e presentano una dedica alla dea Uni (Giunone) da parte di un magistrato etrusco, Thefarie Velianas; due di queste hanno contenuto simile in etrusco, insieme a una terza in idioma fenicio-punico che inizialmente aveva acceso la speranza di un testo bilingue.
Le prime iscrizioni etrusche risalgono agli inizi del vii secolo prima di Cristo e sono redatte con un alfabeto di tipo greco euboico con alcune modifiche corinzie.
Alcune lettere dell'alfabeto modello resteranno "morte" per gli etruschi. Per questo motivo l'etrusco veniva già letto abbastanza correttamente nel XVIII secolo.
La classificazione linguistica dell'etrusco è ancora un problema aperto, in quanto si differenzia sostanzialmente dalla famiglia indoeuropea, nonostante alcuni richiami come il sistema flessivo e alcune desinenze, oltre a consistenti affinità linguistiche che in alcuni casi potrebbero essere dovute a prestiti seriori, mentre è opinione abbastanza condivisa di riconoscervi il relitto di un più antico ceppo linguistico mediterraneo o protoindoeuropeo. Tale ipotesi è confortata dal confronto con nomi pregreci rimasti poi nel greco storico, ma di origine non indoeuropea. Suggestive a tal riguardo sono le affinità riscontrate tra l'etrusco e l'iscrizione della stele di Kaminia, redatta nella lingua parlata a Lemnos (e nella vicina Imbros) prima della conquista attica alla fine del vi secolo antecedente all'era cristiana.
L'approccio alla comprensione dell'etrusco, abbandonato il sistema etimologico, si è basato dai primi decenni del xx secolo sul metodo ermeneutico o "combinatorio", inteso a esaminare il testo dal suo interno, usando come chiave di decodifica un elemento acquisito. A questo si è affiancato il metodo bilinguistico, basato sul presupposto che culture contermini abbiano elaborato testi paralleli, pur in lingue diverse, per esprimere concetti simili.
In tutti questi casi è necessario conoscere il contesto su cui compare il testo scritto. Da qui nasce l'esigenza di censire le iscrizioni con tutti i dati complementari al testo: tipo di supporto, materia, datazione, provenienza.
L'etrusco, come si diceva, non sopravvisse nemmeno come lingua morta in forma letteraria alla distruzione delle antiche biblioteche. I testi, forse già rari, non furono copiati, come pure i testi sacri dell'etrusca disciplina, tradotti in latino e usati dagli ultimi sacerdoti pagani fino alla fine del mondo antico e al tempo delle invasioni barbariche, non sono pervenuti.
La ricostruzione oggi di un corpus di fonti storiche primarie, quali sono le epigrafi, non mediate dalle interpolazioni dei copisti, certo non ripaga dell'enorme danno costituito dalla perdita intera di una lingua e della sua letteratura. Pur restando la possibilità teorica, forse remota, di straordinarie e inaspettate scoperte, le cognizioni sino a oggi raggiunte sulla lingua etrusca costituiscono solo uno specchio offuscato su cui vedere riflessa l'immagine di una civiltà fortemente basata sulla parola scritta.

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